"Quando
Icaro precipitò verso il mare dopo avere tentato di volare fino al
sole, aveva un solo rimpianto: quello di non poter più domare il vento.
L’essere sfuggito al Minotauro non gli importava. L’essere arrivato più
in alto di qualsiasi uomo non contava. L’unica cosa che desiderava era
volare di nuovo a quell’altezza impossibile, irraggiungibile, solo sua".
Se questo libro si fosse limitato ad un semplice tributo alla vita e
alle imprese di una grande “Donna”, probabilmente non staremmo a
parlarne con tanto trasporto; perché le commemorazioni sono si
sacrosante, spesso doverose, ma la “letteratura” è un’altra cosa. “Più
veloce del vento” di Tommaso Percivale, edito da Einaudi, è invece un
grande “romanzo”, che noi di Storie a Colori abbiamo inserito nella
terzina dei candidati al Premio Orbil 2016, indetto dall'ALIR, per la
sezione narrativa 10-14. Perché l’autore, partendo da una scrupolosa
ricerca sulle poche notizie storiche a disposizione, ha imbastito
intorno alla figura di Alfonsina Morini, coniugata Strada, la prima
donna ciclista a partecipare al “Giro d’Italia”, la propria epica
narrativa. Tre epopee si incrociano in questo libro. Quello dell’Italia
contadina di inizio secolo scorso, e di fatto sopravvissuta fino al
secondo dopoguerra, di una vita aspra e dura a spezzarsi la schiena
sulle campagne, dove i maschi coltivavano i campi e governavano le
bestie, e le ragazze stavano dietro gli animalI da cortile, ai lavori di
casa, e chi era brava dava una mano all’economia domestica e
arrotondava con i lavori di sartoria; una vita frugale legata ai valori
semplici, familiari, eppure così carica di poesia ora che a guardarla
appare lontana anni luce. A questa si lega a doppio filo l’epopea tutta
femminile della protagonista, circa il diritto di scegliere cosa fare
della propria vita, al pari dei maschi, assecondando le proprie passioni
e inclinazioni, indipendentemente, anzi contro i dogmi, le consuetudini
e imposizioni allora in voga, che vedevano (perché così volevano) la
donna inadatta a intraprendere certe strade. Qui l’autore risulta
particolarmente abile e dotato di singolare garbo nel descrivere le
diatribe dialettiche sostenute da Alfonsina Strada con la propria madre,
in un confronto agli antipodi di esigenze e visioni; nel mostrare il
rispetto della protagonista nei confronti della propria famiglia,
impegnandosi strenuamente negli studi, e contribuendo in modo importante
all’economia domestica nelle difficili condizioni in cui essa versava,
distinguendosi nella sua abilità al ricamo, sebbene la sua vocazione
seguisse ben altri lidi. Salvo poi coltivare in segreto i propri sogni
quando la notte calava e il mondo andava a dormire; allora di nascosto,
furtivamente si recava al fienile prendendo la bicicletta facendo lunghe
pedalate di notte, per tornare poco prima dell’alba, prima che la sua
famiglia si destasse. Sfidando anche le cinturate del padre il giorno
che se ne accorse. Ma per Alfonsina nulla era più doloroso dell’idea di
rinunciare volutamente al proprio sogno, di una vita diversa, se non
necessariamente migliore, almeno scelta. Perché
"Quando un desiderio non si avvera, il tempo non scorre più".
Ma questo romanzo celebra anche e soprattutto l’epopea di Percivale
scrittore di razza, con una storia che viaggia su ritmi pazzeschi, tutta
in piedi sui pedali; non c’è pagina che mostri un cedimento, non c’è
pagina in cui l’autore non mostri uno spunto, uno scatto di fervore
narrativo, che lasci il lettore di sasso, meravigliato e attonito.
Magistrale la descrizione della nebbia emiliana il giorno in cui nacque
‘Fonsina; memorabile l’avvicendarsi dei registri narrativi, dal poetico
al comico, con un’ilarità talvolta spiazzante ai limiti della gag; come
quando Iacopo mostra ad Alfonsina come si va a salire al volo sulla
bicicletta in corsa, con la “grazia di una vacca che si tuffa nel
fango”; o come quanto lo stesso Iacopo, allo scatto dell’amica Alfonsina
che gli lancia la sfida “rimane fermo come un camposanto". Si vede che
l’autore si diverte ad immaginare le scene, ci ride sopra, e fa a sua
volta divertire il lettore. In una storia dal sapore vivo, mai
stereotipato. Impossibile non affezionarsi alle sorti di Alfonsina
Morini, che corre “più veloce del vento”, con “i capelli pettinati con
la polvere da sparo”. Alfonsina che la domenica finge di andare a messa,
e di nascosto va a fare le gare in bicicletta e poi viene scoperta; e
la madre la pone di fronte alla scelta tra tornare a fare la brava
ragazza di famiglia o seguire le proprie inclinazioni andando a vivere
altrove. Alfonsina che fa i suoi primi allenamenti ufficiali al Parco
della Montagnola a Bologna; Alfonsina che gareggia al Parco del
Valentino a Torino con la celebre, nonché più allenata ed esperta,
Giuseppina Carignano, facendole mordere la polvere. E soffriamo con lei
quando la Grande Guerra mette in crisi lei e la sua famiglia, con il
marito Luigi Strada che da di matto perché gli soffiano il brevetto
della macchina del caffè, cade in depressione e finisce internato al
manicomio; Alfonsina dovette ricominciare tutto da capo, e ancora una
volta se la cavò da sola. Il Giro di Lombardia, il Giro d’Italia del
1924, prima e unica donna a competere in gare per soli uomini.
Combattendo contro l’avversario più duro rappresentato dallo scherno e
la diffidenza. Ma niente può più fermare questa donna, "con i capelli a
bebè", ormai giunta ad un passo dal coronare il proprio sogno.
"Quando ogni singolo respiro è dedicato a un sogno, e il sogno è quello di volare, il respiro diventa vento".
Quando finisci di leggere questo libro ti senti orfano. Una grande
malinconia ti assale. Non vorresti mai arrivare alla fine. Quando il
vento si alza, vorresti che non smettesse più di soffiare.
"Più veloce del vento" - Tommaso Percivale - Einaudi Ragazzi
Nessun commento:
Posta un commento