La poesia è qualcosa di originario. Non "divina", semmai "sgorga".
Non sei tu a trovarla, è lei che ti abbraccia, quando è giunto il
momento. Cercare la poesia, è come tentare di spremere acqua da un
sasso. Non ne cavi nulla. E' lei che si rivela, nelle piccole cose della
vita, in cui resta spesso impigliata. Non è qualcosa che si costruisce.
La poesia, nella sua primordialità, è il linguaggio più autentico che
abbia conosciuto l'uomo. Ci tengo a
sottolinearlo. Conosciuto, non creato. Nella magia di un incontro. La
poesia era, e resta, un linguaggio profondamente "epidermico", proprio
perché "originario".
Inciampare in "Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno" di Silvia Vecchini, illustrato da Marina Marcolin, edito da Topipittori,
per me che vengo dalla poesia, è come tornare a casa. E aprire un
cassetto della propria scrivania, per ritrovare oggetti, istanti,
incanti di vita vissuta. E rimasta sospesa, in attesa di essere colta.
La poesia conserva quel che la memoria dimentica. Donandogli nuova luce, nuova linfa. Questa delicata e intensa raccolta porta in superficie una sequela di
meraviglie circa l'incanto e il tormento di quell'età dell'oro che
risulta essere l'infanzia, e l'adolescenza. C'è la "notte", c'è il
"giorno" , ci sono soprattutto "le cose intorno". Come un sasso gettato
nello stagno, che si propaga ad onde concentriche.
Tanto è minuziosa e
precisa la Vecchini nel suo lavoro di scavo e intaglio di gesti,
pensieri, sguardi, tanto più è plumbeo e rarefatto l'acquerello della
Marcolin, come fosse volto a preservare l'incanto della poesia in un
flusso amniotico. La magia della tela tramanda il sussurro del canto,
avvolto nei suoi magici echi.
Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno - Silvia Vecchini, Marina Marcolin - Topipittori
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