venerdì 29 dicembre 2017

Tartarughe all'infinito


"Ma stavo cominciando a imparare che la vita è una storia che si racconta di te, non una storia che racconti tu. Ovvio, tu fai finta di essere l'autore. Devi. Pensi: Adesso decido di andare a pranzo, quando quel bip monotono risuona dall'alto alle 12:37. Ma in verità è la campanella a decidere. Tu credi di essere il pittore, invece sei la tela".


"Tartarughe all'infinito" di John Green, edito in Italia da Rizzoli, con la traduzione di Beatrice Masini, è un romanzo che mette le sue ragioni nero su bianco, fin dall'inizio; ma è anche un chiaro esempio di come la "scrittura", talvolta, surclassi la "storia", che resta sullo sfondo.

"Così ho provato a farlo, ma la spirale di pensiero ha continuato a stringersi. Ho sentito il dottor Singh dire che non dovevo prendere il telefono, che non dovevo continuare a cercare le stesse domande, ma l'ho preso lo stesso, e ho riletto l'articolo su Wikipedia dedicato ai microbioti umani. Il problema di una spirale è che se la segui dall'interno non finisce mai. Continua a stringersi, all'infinito".

Esiste un vortice che fagocita tutto, il resto è solo polvere agli occhi. Il vortice è la mente di Aza Holmes, la protagonista sedicenne, che soffre di disturbo ossessivo - compulsivo, un disturbo mentale che la induce a ripetere in modo ossessivo certi comportamenti. Nella fattispecie, Aza si è inflitta con l'unghia una ferita a una mano, che riapre e disinfetta in continuazione. E' ossessionata dall'idea di prendere infezioni, causate dal prolificarsi di batteri; questo pensiero la induce a controllarsi continuamente la ferita, disinfettarla, addirittura ingerire direttamente dalla bocca il disinfettante nei momenti di crisi nervosa acuta. Aza è in cura da una specialista, ma non sembra trarre giovamento dalle sedute cui si sottopone. Nella storia ideata da Green, Aza viene convinta dall'amica Daisy ad indagare sulla scomparsa del miliardario  Russell Pickett, in quanto è stata offerta una ricompensa di 100 mila dollari a chi saprà fornire indizi utili al suo ritrovamento. Russell Pickett è il padre di Davis, amico d'infanzia di Aza, fino a quando le vicende della vita non hanno portato le due famiglie ad allontanarsi. Aza e Davis, due caratteri affini, introversi, nascondono voragini interiori. Già da bambini parlavano poco, ma si capivano.

"Le avrei detto che io e Davis non avevamo parlato molto, nemmeno ci guardavamo, ma non importava, perché guardavamo lo stesso cielo insieme, che comunque è forse più intimo del contatto visivo. Chiunque può guardarti. E' raro trovare qualcuno che vede lo stesso mondo che vedi tu."


Davis ha la passione per l'astronomia. Le contemplazioni all'aperto della volta celeste, che i due ragazzi condividono, disegnano i momenti di maggior intensità lirica ed onirica del romanzo.  Attraverso l'osservazione dei corpi celesti, Davis insegna ad Aza a guardare con sereno distacco al proprio passato; perché se quelle costellazioni distano anni luce, quello che vedono, è solo un riflesso di qualcosa che è già accaduto.

"Ho pensato a quando mi aveva chiesto se ero mai stata innamorata. E' un'espressione strana in inglese, in love, come se l'amore fosse un mare in cui anneghi o una città in cui vivi. Non sei in nient'altro; in amicizia, in rabbia, in speranza. Non si dice così. Puoi solo essere in love. E volevo dirgli che se anche non ero mai stata in love, sapevo che cosa si prova ad essere in un sentimento, non esserne solo circondata ma anche intrisa, come quando mia nonna diceva che Dio è dappertutto. Quando i miei pensieri prendevano la spirale, io ero nella spirale e della spirale. E volevo dirgli che l'idea di essere in un sentimento dava linguaggio a qualcosa che prima non sapevo descrivere, creava una forma per questa cosa, ma non riuscivo ad immaginarmi come fare a dire queste cose ad alta voce."

Davis è amore e poesia. Scrive su un blog. I post dedicati ad  Aza sono introdotti con delle citazioni tratte da "La Tempesta" di William Shakespeare. Davis è una spirale che si apre verso l'esterno, e dona ossigeno alla mente di Aza. Anche se dura poco. Poi sprofonda di nuovo.

"Ma la cosa veramente spaventosa non è girarsi e rigirarsi nella spira che si espande; è girarsi e rigirarsi nella spira che si stringe. E' venire risucchiati da un mulinello che riduce e riduce il tuo mondo finché ti ritrovi a girare senza muoverti, bloccato come dentro una cella di prigione che è grande esattamente come te, finché alla fine non capisci che non sei davvero in una cella. La cella sei tu".


Il pregio del libro sta nella qualità della scrittura di Green, nella reiterata capacità di simulare i movimenti di quella spirale che attanaglia la mente di Aza, facendo calare il lettore nelle sue tormentate vicende psichiche. Mentre leggi, senti lo spazio stringersi e il respiro affannarsi. In una parola, provi "empatia". Aza, un nome conciso che percorre tutto l'alfabeto, andata e ritorno, richiama la forma di un triangolo equilatero, che si staglia verso il cielo. E noi ci incamminiamo sul solco del suo cammino interiore fatto di Inferno, Purgatorio, e piccoli scampoli di Paradiso, verso l'ultimo atto del romanzo, che ci riserva un poderoso trittico, dall'accento cosmico. E penso a Dante, alla volontà caparbia nell'alzar la testa a cercar le stelle.

"E quindi uscimmo a riveder le stelle" - Inferno, Canto XXXIV, verso 139

"Ci siamo fatti un nido di silenzio, e io ho avvertito la vastità del cielo sopra di me, l'inimmaginabile enormità di tutto: guardare Polaris e capire che la luce che vedevo aveva 425 anni, e poi guardare Giove, a meno di un'ora di luce da noi. Nel buio senza luna eravamo solo testimoni della luce, e ho sentito una scheggia di ciò che doveva aver avvicinato Davis all'astronomia. Si prova una sorta di sollievo nell'avere davanti a sé la propria piccolezza pura e semplice, e ho capito una cosa che Davis doveva già sapere: che una spirale diventa infinitamente stretta via via che la segui verso l'interno, ma diventa anche infinitamente larga via via che la segui verso l'esterno. E sapevo che avrei ricordato quella sensazione, sotto il cielo diviso, allora, prima che i meccanismi del destino ci frantumassero per ridurci a una cosa o l'altra, prima, quando potevamo ancora essere tutto. Stando li distesa ho pensato che avrei potuto amarlo per il resto della vita. Ci amavamo - forse non l'avevamo mai detto, e forse non eravamo mai stati innamorati, però era una cosa che sentivo. Io lo amavo, e ho pensato forse non lo rivedrò mai più, e mi mancherà per sempre, e non è terribile?"

"puro e disposto a salire a le stelle" - Purgatorio, Canto XXX, verso 145

"Ma alla fine non è terribile, perché conosco il segreto che la me  distesa sotto quel cielo non poteva immaginare: so che quella ragazza sarebbe andata avanti, che sarebbe cresciuta, che avrebbe avuto dei figli e li avrebbe amati, che nonostante l'amore sarebbe stata troppo male per occuparsi di loro, che sarebbe finita in ospedale, sarebbe migliorata, e poi sarebbe stata male di nuovo. So che uno strizzacervelli direbbe "Scrivilo come sei arrivata fin qui". Così lo scrivi, e mentre lo scrivi capisci che l'amore non è una tragedia o un fallimento, ma un dono. Ti ricordi il primo amore perché ti mostra, ti dimostra che puoi amare ed essere amato, che a questo mondo non ci si merita niente tranne che l'amore, che l'amore è come diventi una persona e perché."

"l'amor che move il sole e l'altre stelle" - Paradiso, Canto XXXIII, verso 145

"Ma sotto quei cieli, la tua mano - no, la mia mano - no, la nostra mano - nella sua, non lo sai ancora. Non sai che il quadro della spirale è dentro quella scatola sul tuo tavolo da pranzo con un post-it appiccicato sul retro della cornice: "L'ho rubato ad una lucertola per te. D". Non puoi sapere che quel quadro ti seguirà da un appartamento all'altro e poi alla fine in una casa più grande, né che decenni dopo sarai così fiera che Daisy continui ad essere la tua migliore amica, che crescere dentro vite diverse vi renderà solo ancora più accanitamente fedeli l'una all'altra. Non sai che andrai al college, ti troverai un lavoro, ti farai una vita, la vedrai disfatta e ricostruita. Io, nome proprio singolare, sarei andata avanti, seppure sempre al condizionale. Ma tu non sai ancora niente di tutto questo. Noi stringiamo la sua mano. Lui risponde alla stretta. Voi fissate lo stesso cielo insieme, e dopo un po' lui dice "Devo andare", e tu dici "Addio", e lui dice "Addio, Aza", e nessuno dice mai addio a meno che non voglia rivederti."

Sai che c'è Aza? Non importa che tu sappia baciare o meno. Tu sai vedere attraverso le  nuvole.

"Tartarughe all'infinito" - John Green, traduzione di Beatrice Masini - Rizzoli

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