"Io continuavo ad allenarmi. D'estate mi facevo certe salite di
campagna da tagliarti il fiato. Mi facevo quelle salite nell'aria ferma,
senza vento, e pedalata dopo pedalata mi arrampicavo ancora.
Mentre andavo sentivo le cicale che chiamavano, Gino, Gino, e allora mi
ricordavo quelle fughe tra gli ulivi con gli ebrei nascosti sotto il
culo, e sorridevo. E poi pensavo che la guerra s'era presa gli anni più
belli, ma lo stesso ero contento di tutto quello che ero riuscito a
combinare."
A volte le "grandi storie" non bastano da sole, c'è
bisogno di qualcuno che le sappia raccontare. Facendoci appassionare
dell'uomo che si cela dietro il personaggio storico.
Di Gino
Bartali sappiamo molte cose. Fu uno dei più grandi ciclisti di tutti i
tempi. Vinse molto, anche se avrebbe potuto vincere ancora di più se
alcune contingenze storiche più grandi di lui (il Fascismo, le leggi
razziali, la Seconda Guerra Mondiale) non lo avessero spesso fermato nei
suoi anni migliori, salvo poi trovarsi di fronte, quando tutto sembrò
normalizzarsi, il grande rivale di sempre, Fausto Coppi. Sappiamo anche
che alcune sue vittorie ebbero un'importanza tale da valicare i confini
sportivi, come quella del Tour de France del 1948, quando l'Italia era
sui piedi di una insurrezione civile, per l'attentato a Palmiro
Togliatti. Sappiamo infine, che la sua più grande impresa ciclistica fu
extra-sportiva, profondamente umanitaria, quando, facendo la spola tra
la Toscana e l'Umbria (Assisi) portando documenti segreti tenuti
nascosti nella canna della bicicletta sotto la sella, riuscì a salvare
qualcosa come 800 ebrei, negli anni delle persecuzioni naziste. Per
questo ricevette nel 2013 il riconoscimento di "Giusto tra le Nazioni",
la massima onoreficenza concessa dallo Stato di Israele per i non ebrei
che hanno rischiato la propria vita per salvare la vita anche di un solo
ebreo, oltre alla Medaglia d'Oro al Merito Civile, consegnata postuma
alla moglie Adriana.
«Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca ».
Ma dell'uomo Bartali cosa sappiamo, a parte il suo leggendario carattere burbero e schivo, che non disdegnava la querelle?
Bartali ebbe tanto dalla vita (nulla che non si sia sudato, beninteso),
fu anche messo a dura da essa: quando gli morì il fratello Giulio,
falciato da un auto proprio mentre stava disputando una gara
ciclistica; oppure quando perse il secondogenito, nato morto.
E' sulla
vita del ginettaccio nazionale che Antonio Ferrara imbastisce un bel
romanzo che alterna ritmo e contemplazione, ironia e commozione. E
tanta, tanta poesia, soprattutto quando descrive il rapporto con la
compagnia di una vita, la sua amata Adriana. Un rapporto fatto di
silenzi, sguardi, pazienti attese. Questa è una qualità propria dello
scrittore Ferrara, che ho avuto già modo di apprezzare leggendo "Harry",
là dove descrive il rapporto di Houdini con la moglie Bess.
Poi ci sono alcuni "siparietti", al limite del dissacrante, che danno brio al racconto che piace e diverte:
Ora io non è che non volessi stringergliela la mano, solo che pensavo che un uomo, anche se frate, prima di stringerti la mano dovrebbe evitare di ravanare tra gli zebedei, perché non è che sia una cosa tanto fine".
e ancora:
"Seduto al tavolo lungo di legno, là sotto il crocefisso, con la tazza in mano, mi sentivo sempre un po' a disagio, devo dire, perché ogni volta da là sopra Gesù diceva cose sconce che non mi aspettavo.
Una volta disse lo so che è strano, facciabianca, Gino, devi avere pazienza, ma guarda che è uno coraggioso, è uno con le palle.
Ma io già lo sapevo, questo, perché lo vedevo che facciabianca la chiave la nascondeva proprio là".
Ma in fondo scrivere per ragazzi è anche e soprattutto questo, senso del ritmo e tanto equilibrio, come quando cammini su un muretto, basta sbilanciarsi di poco e si cade a terra. Solo che Antonio Ferrara sul muretto ci palleggia anche. Come accidenti faccia, lo sa solo lui. Ma è solo così che le storie di un tempo arrivano fresche e intatte ai giorni nostri.
Antonio Ferrara - La corsa giusta - Coccole books
Copertina con elaborazione grafica su foto storiche di Sandro Natalini
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