“Dovrebbero riceverlo tutti gli insegnanti. E leggerlo possibilmente.
 E anche i genitori. E dovrebbe essere letto in ogni classe. Semplice e 
geniale. E fa malissimo, dentro. Per me da leggere assolutamente.
Commuove, si.”
Con queste parole Monica Tappa, 
 giornalista della Gazzetta di Modena, per il quale cura la rubrica 
"Zero14" (e il relativo blog) dedicata alla letteratura per ragazzi, 
commenta “Lettere di un cattivo studente” di Gaia Guasti, edito da 
Camelozampa.
Geniale perché semplice, e le cose semplici si sa, 
spesso son quelle che riescono meglio, purché mostrino al loro interno 
una loro intima coerenza. E questo libro intimo e coerente lo è davvero,
 da cima a fondo, per questo corrode fino a commuovere. 
Il 
protagonista è uno studente in difficoltà, in difficoltà persino ad 
esternare compiutamente a  voce il proprio disagio, al punto da 
esprimersi attraverso delle lettere, perché il linguaggio epistolare è 
diretto e arriva dritto al punto, e ti consente di metterti a nudo senza
 tanti artifici. Sette lettere, che lo studente indirizza ai propri 
genitori, agli insegnanti, al Ministro dell’Istruzione … a tutti quelli 
che lo vedono come un problema, un caso disperato. Sette lettere in cui 
il protagonista smonta punto per punto il castello di stereotipi e 
ipocrisie che i diretti interessati gli puntano contro.  Comportamenti 
che rimbalzano e tornano dietro come boomerang, perché dietro un cattivo
 studente spesso si trovano “cattivi genitori, cattivi compagni, cattivi
 professori, cattivi presidi e cattivi ministri”. Ma “per fortuna, ci 
sono anche dolci ranocchiette e brave maestre”. 
Due cose mi hanno colpito, di questo itinerario epistolare. 
Il tono delle lettere, che, nell’essere corrosivo e ficcante, è 
sinceramente rammaricato, risultando privo di acredine.  Nel rispedire 
al mittente critiche e accuse, c’è tanta lucidità e precisione 
chirurgica di argomentazione, ma non “rabbia”. Rabbia la prova chi 
critica ferocemente un sistema dall’interno, tentando a sua volta di 
sovvertirlo, facendone tuttavia parte; non può provarla chi ne risulta 
totalmente estraneo, e non si sente, da esso, minimamente rappresentato.
 Allora prevale un senso di pena. Pena per i genitori che fanno finta di
 niente;  pena per i capoclasse ruffiani che spifferano alle spalle, 
speculando sulle malevoci, per il proprio tornaconto scolastico; pena 
per quegli insegnanti che vengono in classe scorati e con gli occhi 
stanchi, per i ministri delle buone riforme, per il valzer di supplenti ,
 per tutti i maestri che, anziché aiutare  chi resta indietro, di fronte
 alle classi problematiche manifestano gran voglia di andarsene il prima
 possibile in una scuola migliore. Pena anche per quegli sconosciuti 
sull’autobus che, senza conoscerti, ti giudicano da uno sguardo, salvo 
nascondere la propria faccia dietro un libro, scrutato con finto 
interesse per celare il proprio disagio.
Alla fine del tunnel si 
scorge la luce. Nel coraggio di una richiesta di aiuto;  che bisogna 
saper chiedere, ma bisogna soprattutto saper dare. Il che presuppone 
fermarsi ad ascoltare, senza giudicare. Come la maestra Caterina, 
l’unica che abbia saputo “far piacere la scuola” al ns. cattivo 
studente. Per lui, lei c’è sempre, anche se non è più la sua insegnante.
“Se sei in difficoltà non restare solo” e “se non sai con chi parlare torna a trovarmi. Si possono cercare delle soluzioni” .. 
Le ultime due lettere, alla sorellina “Scricciolo” e alla maestra “Caterina”, sono le più toccanti. Perché sono lettere alla pari. Di consiglio fraterno, di richiesta d’aiuto. Il protagonista è nudo, si è tolto tutti i sassolini dalle proprie scarpe, non deve più giustificare i propri comportamenti; allora i sentimenti non sono più estranianti, ma autentici.
Prescrizioni:
Il librò è pocket, 16 cmx 11. Formato Agenda Comix, per intenderci.
Bastano dieci minuti per leggerlo. Ma ce ne vogliono molti di più per scrollarselo di dosso.
Lettera a un cattivo studente - Gaia Guasti -  Camelozampa





