lunedì 13 novembre 2017

Pusher


"Cominciai a leggere, si, ma non riuscii, perché mi vennero le lacrime. Le lacrime facevano ballare sul foglio le parole e mica le vedevo, le vedevo tutte mosse, sfocate come dietro a un fumo. Mi asciugai gli occhi con la manica della maglietta, e allora i miei compagni fecero un altro applauso forte. Tirai su col naso. Feci un respiro profondo. E mica era facile. Presi a leggere, finalmente, a leggere il mio sogno, il sogno che volevo realizzare e che a casa non potevo dire, e a leggerlo il mio sogno era il più strano e il più pazzo e bello di tutti i sogni che si potessero sognare. Parlava di me che volevo fare il giornalista, che volevo scrivere sul giornale com'era bella Napoli e i napoletani, e che bei dolci si potevano mangiare a Napoli, e che belle canzoni si cantavano, e che squadra forte di calcio avevamo, e come i ragazzini avevano diritto di giocare e divertirsi invece di lavorare, di rubare e di spacciare. Leggevo ormai senza fermarmi, ché il respiro quasi mi mancava, e mentre leggevo, sembrava che, visto che lo avevo scritto bene, con le parole tutte giuste, prima o poi davvero forse poteva capitare. Ma, leggendo leggendo, pensavo alla testardaggine e alla forza e alla volontà che ci volevano per far succedere una cosa così, così difficile, e io mica ce l'avevo, quella forza. E avevo contro mio padre, mia madre e pure gli amici. Ma poi, alla fine, in mezzo all'applauso che mi arrivava in faccia e nelle orecchie, guardai il prof che sorrideva e faceva sì sì con la testa e pensai alle parole che diceva sempre; che, se hai una passione forte, la disciplina poi ti viene".

E' un capitolo, questo, che mi piace riportare per intero, perché affiora così, nel bel mezzo del romanzo,  come una "Spaccanapoli", a separare due ipotetiche vite che vi si affacciano.  Anche se la visuale ariosa e panoramica che restituisce sembra più quella di un affaccio sul mare a Posillipo. 

Non è facile parlare dell'ennesimo libro di Antonio Ferrara scritto in modo superbo ed empatico; eppure questo racconto l'ho sentito, e vissuto, in modo diverso, non appena ho iniziato a leggerlo. Solitamente la scrittura di Antonio mi mette le ali, è una tale sequela di carezze e risate, bravate e lacrime, abbracci e ceffoni, che quando abbasso lo sguardo per iniziare un suo libro, difficilmente lo alzo prima di averlo finito. 

Ma Tonino è un ragazzo di 13 anni con la pistola in tasca, il pomeriggio ha la fila sul portone di casa, la notte le dosi le spaccia in piazza. Con Tonino sei fortunato se l'amico  sveglio ti para il culo quando lo stronzo di turno ti mette le mani al collo, per strapparti la dose senza pagare. Tonino, mandato a sparare dal padre per appianare uno sgarro. Difficile immaginare un orizzonte con Tonino. Difficile voler scappare con lui da qualche parte.

Però non è solo questo. "Pusher" scorre meno lineare di altre storie, si propaga lento e inaspettato a macchia d'olio, ogni capitolo, nella sua sintesi, tra densità e ritmo, contiene la luce e il buio; crea, più che altrove, uno spaccato autonomo. Un sipario. C'è, più che altrove, il teatro di Antonio, la sua commedia, un proiettarsi di scorci, di tanti piccoli presepi. E allora questo libro me lo sono sorseggiato, come tante piccole "tazzulelle 'e cafe' ". Perché sembra non conceda scampo, e invece ti lascia spazio per pensare. A quello che sei, a cosa diventerai.

Attraverso i racconti del nonno malato Tonino comprende che c'è un tempo per vivere e un tempo per morire; quando sei potente la gente ti rispetta e ti teme, ti serve e ti riverisce; ma quando sei vecchio e stai male, quando non conti più niente, la gente si dimentica di te, e resti solo come un cane. E allora i soldi e il potere non servono a niente. Cosa gli racconta il nonno a Tonino? di quando sparava? di quando spacciava? di quando si spartiva Napoli? No, gli racconta la storia di quando era ragazzo e per far colpo sulla nonna le regalò una gallina (che nel dopoguerra era una dote preziosa), e quella disgraziata le scacacciò sulla camicia bianca. Una storia di amore e gioventù, che ogni volta arricchisce di un particolare, che affiora dalle nebbie della memoria. Perché quando invecchi ricordi l'età più bella, che è la gioventù e le sue follie. E allora a 13 anni devi giocare, devi studiare, non spacciare, Tonino. La figura del nonno apre uno squarcio ironico - iconico agli occhi del ragazzo. Sono pagine di luce e amore, risate e commozione. 

Poi c'è il professore, che per prima cosa ti insegna a ridere. "Tu ridi troppo poco Toni'. Ricordati che sei ancora nu' guaglione, e devi ridere di più!'". "Si può anche imparare mentre ridi, no?" - Bisogna essere felici di imparare". Con il sorriso puoi smontare i problemi a poco a poco, mettere in fila i pensieri, e darti una disciplina. Il professore che aiuta a guardarti dentro, a separare le luci dalle ombre. 

"Avevo sempre avuto una bella calligrafia, mi piaceva scrivere chiaro. Mi piaceva che le parole si capissero bene e dicessero bene le cose che uno pensava, pure quelle brutte. Quando uno pensa può anche pensare male, disordinato e senza capo né coda, pensavo, ma quando scrive le cose le deve mettere a posto, le deve dire bene". 
   

Non puoi sapere in anticipo quale direzione prenderà la tua vita, però è importante saper riconoscere da quali mani farti impastare. 

"Ogni volta che tiravo fuori il pane dallo scuro del forno mi veniva in mente che ero io, quel pane, ero io che uscivo dallo scuro e mi presentavo fresco fresco al mondo. Ma era Carmine che mi aveva impastato e messo al forno a crescere e a cuocere fino al punto giusto, lo sapevo, era lui che mi aveva dato un'altra forma."

Pane e basilico.

"Mangiavo di gusto e pensavo che eravamo così, Carmine e io: lui era il caldo del pane e io il basilico, lui era il caldo che faceva uscire tutto il profumo che avevo dentro io e non si sentiva".

Già, ma chi è Carmine, e chi è Tiziana? Chi sono queste persone che nel buio diffondono luce? Dacci oggi il nostro "pane" "quotidiano". Pane e quotidiano. Che di notte non lavorano solo i pusher, lavorano anche i panettieri, e i giornalisti. 

"Pusher" è un po' così. Schizza via come una pallottola di rimbalzo e non sai bene quale parte di te andrà a colpire. Ma ti ricorda anche che dentro la sfogliatella c'è la crema, e se sei un ragazzo di 13 anni, ed hai una vita davanti, te la devi saper giocare. E qualunque cosa accada, fattela una risata.

Pochi autori sanno spacciare gioie e dolori, sorrisi e lacrime, abbracci e carezze, come Antonio Ferrara. Ogni suo libro è un viaggio, uno spaccato, della complessità di questo mondo contemporaneo, interconnesso eppure così slegato, costituito da una somma di solitudini e tante sottrazioni di responsabilità.

Antonio sa che alle volte serve qualcuno che ti dia la spinta, o ti indichi la strada. E lui tra le righe ti incoraggia e ti spinge, che le storie servono anche un poco a questo, a seminare le difficoltà  e ritrovare quella fiducia in sé stessi. Quella fiducia di cui tutti, adulti e ragazzi, abbiamo in fondo un grande bisogno.

"Pusher" - Antonio Ferrara - Einaudi Ragazzi

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