“Lunedi era una terra promessa. Era dopo, dopo la nausea, dopo il dolore, dopo l’angoscia e il dispiacere. Veniva da domandarsi
se il lunedi esistesse.”
Sono le ultime tre righe, a
pagina 153, quando i miei occhi si velano di lacrime. Inaspettatamente. Perché
per tre quarti questo romanzo, dal tono leggero, dissacrante e ironico, per
quanto fitto e denso, mi aveva divertito. Ma per Violaine il tempo è ormai
scaduto. Non è una scelta facile, la sua, soprattutto in rapporto alla sua
giovane età. E’ una decisione che avrà, in ogni caso, ripercussioni sulla sua
vita futura. Ci sono dei momenti in cui la vita ti porta a un bivio, e non hai
tempo e modo di stabilire in anticipo la
bontà della direzione da prendere, puoi soltanto scegliere dove svoltare.
Violaine decide di interrompere la sua gravidanza. Non sa se è la scelta
giusta, ma è la sua. Forse il segreto di certi snodi esistenziali sta nei versi
di Boris Cyrulnik che la Murail mette ad incipit del suo romanzo:
La felicità dà solo pagine bianche
Ma trionfare su una prova
Varrà bene un capitolo
Violaine affronta la prova con sé
stessa, e scrive un capitolo cruciale nel suo passaggio da ragazza a donna.
Forse il destino di Violaine è nel nome che richiama un colore, il Viola, enigmatico,
fondo, di difficile interpretazione. Ma che suona simile a qualcosa che viene”
violato”, suo malgrado.
“La figlia del Dottor Baudoin” di
Marie – Aude Murail inaugura “Le Spore”, la nuova collanza di Camelozampa
dedicata alla narrativa Young Adult. E’ un romanzo denso di argomenti,
dall’interruzione volontaria di gravidanza alla deontologia medica, dalla
famiglia all’amicizia, dalla fiducia al tradimento all’incomprensione, dai tumori
alle prevenzioni, fino a toccare una delle piaghe striscianti della nostra
epoca: la solitudine che nasce dalla mancanza di dialogo, e di ascolto. Tanti
personaggi si alternano sul palcoscenico, ognuno con le proprie virtù e
debolezze, luci e ombre; tutto si muove in modo concatenato e senza battute
d’arresto. Come valvole in un motore da
corsa che si alzano e abbassano continuamente, in modo sincronico, senza
dispersione. L’autrice francese, in questo, si conferma meccanico formidabile,
la narrazione non picchia mai in testa, e non perde un colpo. Ma è un motore a
geometria variabile, dove ogni personaggio, anche il più marginale, acquista il
suo momento di centralità, anche se chiamato in causa una volta sola. Si pensi
alla D.ssa Nina Broyard, così cinica nella sua lucidità, quando sferza Violaine
per essersi presentata con l’amica a pianificare l’interruzione di gravidanza,
all’insaputa dei suoi genitori; sebbene in alcuni passaggi appaia acida, ai
limiti dell’insensibile, si fa portatrice, a sua volta, di una logica
incontrovertibile.
“Pensi di parlare di tutto questo
con tua madre?”
“Non so”, singhiozzò Violaine.
“Sarebbe bene che veniste qui
insieme. Questa faccenda non riguarda Adelaide, capisci? Non è lei che può
aiutarti in questo momento della tua vita.”
Sebbene questo romanzo metta un
dramma tutto femminile (l’interruzione volontaria di gravidanza) al centro
della narrazione, anche le figure maschili contribuiscono in misura rilevante
alla sua ricchezza, oserei dire alla piena riuscita. Si pensi al Dott. Jean
Baudoin. Relegarlo a semplice uomo in carriera in crisi di mezza età,
scarsamente recettivo alle istanze mosse dai suoi familiari, non rende
giustizia al grande lavoro di screziate sfumature fatto dall’autrice intorno a
questa figura, che ha un peso centrale nell’economia del racconto. A partire
dalle sue battute fulminanti, dissacranti, sempre precise e puntuali, spesso
dotate di grande acume, soprattutto quando si tratta di mettere alla berlina
alcuni vizi e nevrosi delle contemporanee relazionalità familiari. Lo si
intuisce fin dall'inizio, dal primo capitolo, di ritorno a casa dopo una dura
giornata di lavoro. Cerise, la piccola di 8 anni, alleva maiali in una
Farmville su internet; Jean – Paul che gli chiede la carta di credito per comprare un
vestito costoso; Violaine, sul divano, stretta sul cuscino, fa zapping ad alto
volume rispondendo a monosillabi contraddittori: “Si ma no”. Ce n’è a
sufficienza per mandare fuori di testa la più posata delle persone. Baudoin ha
le sue buone responsabilità, avendo perso slancio e passione per la sua
professione; visita con l’orologio in mano, prescrive alcune medicine senza
prima visitare, oppure analisi inutili al laboratorio della moglie, per
arrotondare; eppure è a un uomo che, al
netto della sua scientificità, vive di presagi oscuri, che a poco a poco si
assiepano come nubi minacciose, minando le sue certezze.
“Ma restò con lo sguardo vuoto prima di posarlo su una foto
incorniciata. Una foto che aveva scattato lui stesso a Deauville. Rappresentava
Stéphanie tutta carina in un vestitino corto, tra Violaine e Pilou. Un’ondata
di nostalgia sommerse il dottor Baudoin. Quel giorno, il giorno della foto,
erano felici. Cos’era successo dopo?”
e ancora:
“Era nervoso come gli animali all’approssimarsi di un cataclisma. Gli
sembrava che tutto quello che aveva rappresentato la sua vita fino a quel
momento, tutto ciò che contava per lui, sarebbe andato in frantumi. Ma non
sapeva da dove sarebbe arrivato il fulmine, né chi avrebbe colpito”.
Pensieri che ce lo restituiscono nella sua umana fragilità. Prima di capitolare, divorato dalle ansie, riesce a vedere sua figlia Violaine con occhi nuovi, pieni di ammirazione:
perché lei è ormai una "donna", che si è fatta da sola.
Menzione di merito al Dottor
Vianney Chasseloup. Uno che sembra muoversi a ruota, sulla scorta degli altri
protagonisti, destinato a vivere di luce riflessa, emerge poco a poco, alla
distanza; in questo infernale Acheronte di convulsa schizofrenia, si fa
traghettatore di umanità. Onorando quel giuramento di Ippocrate appeso allo
studio, che legge e ripete ogni mattina, prima di iniziare le visite. Lui che
ascolta le magagne familiari dei pazienti sfiduciati e stanchi, inascoltate da
Baudoin; loro, che hanno bisogno di conforto e comprensione, più che di
medicine. Finendo, suo malgrado per sottrarre i pazienti all’illustre collega.
Lui che fa la spola tra lo studio di medicina generale e il centro di
pianificazione familiare. Chasseloup “occhi d’asino” c’è sempre nei momenti
che contano. Che si tratti di operare d’urgenza Violaine, colpita da emorragia;
o salvare la vita al collega Baudoin, colto da infarto, rianimandolo con un
massaggio cardiaco, chiamando tempestivamente i soccorsi per il ricovero in
ospedale. Saprà trasformare un “si ma
no” in un “no ma si”?
La bravura di Marie-Aude Murail,
in fondo, sta in questo; non ci sono vincitori né vinti, comparse e
protagonisti assoluti. Ognuno è portatore sano di istanze, che per giungere a
compimento, richiedono il contributo decisivo di qualcun altro. Sono vite che
si incrociano, cammini paralleli che si intersecano. Esperienze che si
incastrano. Un romanzo “corale” a tutti gli effetti, anche nella declinazione delle
emozioni. Dal riso al pianto in un batter di ciglio. Talvolta col ghigno beffardo
di chi, dalla vita, non si fa mettere spalle al muro, ma sa opporvi, sempre e comunque,
un sorriso.
Degna di nota la traduzione
di Sara Saorin; a lei il difficile compito di restituire la musicalità
dell’originale. Direi che l'ardua impresa è riuscita alla perfezione.
“La figlia del Dottor Baudoin” –
Marie-Aude Murail - Camelozampa
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