lunedì 9 novembre 2020

La notte delle malombre


"Quando perdi le radici, il vento ci mette un attimo a portarti via".

Nino cammina clandestinamente sul binario per tornare a casa, a Potenza, dalla sua amata Maria. Si è lasciato alle spalle, da circa un'ora, la stazione di Balvano, esce dall'ennesimo tunnel quando si trova di fronte ad una scena surreale. C'è un treno fermo sul ponte che immette alla galleria successiva. E' un treno merci, conficcato nel foro della montagna, con tre vagoni che sbucano fuori. Da lontano si sente il borbottio della locomotiva ancora accesa, e del fumo nero esce dal tunnel, Quando dalla galleria sbuca una sagoma viva che urla: "Sono tutti morti là dentro".

Cosa  è successo?

Riavvolgiamo un attimo il nastro. E' la seconda metà del 1943, l'Italia è un paese in guerra e allo sbando, senza guida politica ne militare. Ha firmato l'armistizio con le forze Alleate, mentre i precedenti alleati, i tedeschi, furiosi per il tradimento, si trasformano in forza occupante e vendono cara la pelle. Nel sud Italia, da cui parte la controffensiva alleata, si scatena una feroce guerra. In Campania non si trova più cibo, nemmeno al mercato nero. Nella vicina Lucania, è ancora possibile andare a barattare i propri oggetti per compare un po' di farina e qualche alimento per garantirsi la sopravvivenza. Così i treni merci in partenza da Napoli per Potenza e Taranto vengono presi d'assalto da orde di clandestini in un autentico viaggio sospeso tra disperazione e speranza per barattare i propri averi in cambio di cibo. In questo scenario apocalittico si innesta il "Disastro ferroviario di Balvano", avvenuto la notte del 3 marzo 1944; il treno merci 8017, partito da Napoli e diretto a Potenza, trainato da due locomotive a vapore che si tiravano dietro la bellezza di 47 carri e oltre 500 tonnellate di peso, con 700 clandestini a bordo, rimane bloccato all'interno della Galleria delle Armi, tra le stazioni di Balvano e Bella Muro. A nulla valgono i disperati tentativi dei macchinisti di tirar fuori il convoglio, che di lì a poco svengono per le esalazioni da monossido di carbonio. Gran parte dei passeggeri, in preda al sonno, dopo un viaggio sfiancante durato ore, passano dalla vita alla morte senza nemmeno rendersene conto. La sciagura di Balvano si chiude con un olocausto di 600 vittime, molte delle quali resteranno senza nome. Vengono realizzate delle fosse comuni per seppellirli, perché nel cimitero del paese non c'è posto per tutti.


"Balvano" è una sorta di Titanic ferroviario; una sciagura civile in tempi di guerra, per questo rimossa in fretta, forse perché "gli stivali del diavolo non fanno rumore, e invece la guerra fa un fragore assordante". Manlio Castagna, come avvenuto per Marco Paolini con il Vajont, riporta alla luce questa tragedia sconosciuta ai più, ricostruendo tutti i retroscena che hanno condotto al disastro; solo che al posto del teatro, usa il romanzo. Si affida alla voce narrante di tre ragazzi, diversi per estrazione sociale, ognuno dei quali, per ragioni diverse, si troverà a salire su quel maledetto treno.

C'è Brando Carenza, un ragazzo di un paesino del salernitano, che ha perso il padre in guerra, con la madre incapace di riprendersi dalla batosta, Brando ha due sorelle minori, a lui l'onere di portare a casa da mangiare. 

Rocco Saturno è un "mariuolo" di Napoli che vive di espedienti; ripudiato dalla famiglia che non approva il suo modo di guadagnarsi da vivere, dorme nel sottoscala di un albergo. Rocco quel viaggio della disperazione lo conosce bene, lo ha fatto più volte per ragioni diametralmente opposte, Lui è uno dei "borsari", quelli che salgono per rubare gli averi che i poveri disgraziati dovrebbero andare a barattare in Lucania in cambio di cibo. Poiché, tuttavia, il Bene e il Male non stanno mai da una parte sola, sovrastato da eventi più grandi di lui, si troverà suo malgrado a fare delle scelte.

E poi c'è Nora Moscati, il cameo di questo romanzo, una ragazzina salernitana benestante, figlia di un dottore. Nora ha un fratello, Pietro, a cui è molto legata; arruolato nella Regia Marina, di stanza a Taranto, ad un certio punto non manda più suo notizie. Per questa ragione, i coniugi Moscati con la figlia al seguito, saliranno su quel treno, alla ricerca del figlio perduto. Ma Nora riveste un ruolo speciale nell'economia della narrazione; è il trait d'union che tramuta un romanzo storico in autentico thriller noir.

Nora la notte riceve delle visite, delle ombre scure che si materializzano in stanza e le salgono sul petto impedendole di respirare. Sono le "Malombre", anime in pena, dannate, perse, che le portano in dote premonizioni. Nora sogna quel treno e sa come andrà a finire. Nora sente delle voci che le raccomandano di non salirvi, perché la sua sorte è segnata, e "chi si addormenta muore". Ma chi è disposto a credere ad una ragazzina di 12 anni in preda alle allucinazioni?

Manlio Castagna si conferma narratore di razza quando scendono in campo le forze oscure del Male; ne aveva dato ampia dimostrazione nella trilogia di "Petrademone", e un altro sfizioso assaggio in "Le Belve", scritto a quattro mani con Guido Sgardoli. Ne "La notte delle malombre" ci dona qualcosa in più, vuoi per la commistione speciale che viene a crearsi tra i personaggi, vuoi perché la base narrativa su cui si sostanzia il romanzo è solida, autentica, profondamente vissuta, e anche il Male quando affonda le sue radici nel "vero", assume tutta un'altra connotazione.


Perché la Notte delle Malombre, "la notte in cui la Morte saccheggia il mondo", è realmente esistita. E si è portata via 600 vittime, senza spargere sangue. Siamo liberi di credere che il mondo parallelo a Petrademone sia una finzione, ma la Galleria delle Armi è ancora lì a ricordarci la notte del 3 marzo 1944, in cui si è inghiottita un treno con 600 persone.

Quando, anche nel romanzo, il treno 8017 ha lasciato la stazione di Balvano, mi sono sentito mancare. Sapevo che il treno andava incontro alla morte, anche se ignoravo quali parole avesse scelto l'autore per accompagnarci sulle soglie dell'Ade. Sono parole, immagini, suggestioni, cariche di poesia, quasi allucinazioni, quasi respirassimo per un attimo quel veleno che si sprigionato in galleria, perdendo il contatto con la terra e con la realtà, per essere adagiati in un altrove di difficile collocazione.

E poi c'è il senso di colpa, per chi sopravvive a certe tragedie, perdendo, in una notte, tutto quello che aveva.

"Per la prima volta nella sua vita sperimenta la solitudine. Si sente come l'unica parola scritta su un libro di pagine tutte bianche. Una parola senza significato"

"La notte delle malombre" - Manlio Castagna - Mondadori


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