giovedì 18 gennaio 2018

La prima cosa fu l'odore del ferro


La prima cosa che vidi fu il grigio.
La prima cosa che sentii fu il freddo.
La prima cosa che odorai, ancora assonnata e distratta, fu il ferro.

Poi ci furono le ore e i giorni a farmi compagnia. E quel ferro che non se ne andava dalla mia pelle, come un tatuaggio. Un segno di riconoscimento.

Mansueta.
Innocua.
Accartocciata e sottile senza far rumore. Curva nelle stanze umide dell'officina. Lavoravo otto ore. Cinque giorni alla settimana. Come tutta la classe operaia.
Timbravo all'entrata. Timbravo all'uscita. Ritmi lenti. Uguali.

Cercavo la bellezza. Scintille di ferro come stelle dentro la polvere. Chiamavo a raccolta la forza.


In principio fu il buio, poi venne la luce, che pertinace e ostinata iniziò a filtrare nei spiragli dei pensieri e dei giorni, tramutando la polvere in scintille, luccicanti come stelle. Sonia Possentini in questo albo, compie un prodigio: mette in ombra la sua arte, per donare luce al nostro sguardo sul mondo. L'illustratrice, fresca vincitrice del Premio Andersen, pone le sue tavole al servizio della parola, che splende, infine abbaglia. Come quando sfogli un album di famiglia, osservi curioso le foto ingiallite dal tempo, ma in cuor tuo sei li che pendi ad aspettare il racconto di quello che fu, da parte di chi lo ha vissuto. Intendiamoci, le illustrazioni di Sonia, anche in questo libro, hanno il consueto pregio artistico, ma si pongono come elemento di contrasto, un fondo scuro teso a far risaltare quel piglio inedito di scrittrice, che brilla della forza incorruttibile dei suoi sogni, poiché forgiati nel rigore e nella perseveranza. 

      
Ora voi immaginate che io mi metta qui a parlarvi del ferro, della fabbrica, del sudore, della classe operaia che va in paradiso, dell'importanza dell'impegno e del sacrificio per ottenere qualcosa nella vita, e invece no. Questa cose ve le ha già raccontate Sonia. Io voglio parlarvi di poesia, che questo racconto ne è intriso fino alle ossa, dalla prima all'ultima riga. Allora sollevo la patina del tempo con un soffio, e controluce anche la polvere risplende. In paradiso vi ci porto lo stesso, ma a modo mio.


Il viaggio interiore alla ricerca di sé stessi, alternando ambientazioni reali a mete fantastiche,  ha alimentato la poesia di ogni tempo e luogo. Settecento anni fa un sommo poeta intraprese il suo viaggio, camminando ai confini della conoscenza, attraversando lande piene di dubbi esistenziali. Non mancarono le richieste di aiuto e conforto, anche ai propri avi, come fa Sonia con la sua amata nonna, che per consolarla diceva:"Impara. Impara a fare tutto, anche quello che è brutto." Conoscendo la fatica, te la saresti sempre cavata.


Sfido la cabala, e percorro via del Paradiso,  numero 17, qui mi fermo. E leggo:

"La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta è dipinta nel cospetto etterno

necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia
nave che per torrente giù discende"


I fatti contingenti, che non hanno luogo al di fuori del mondo materiale, sono tutti e sempre presenti nella mente divina; non per questo assumono carattere di necessità, così come il movimento di una nave che discende il fiume non dipende dallo sguardo che la osserva.

Sonia era si mossa dalla fame, ma alimentata dalla necessità di capire: una sete di conoscenza, da soddisfare. Poiché tuttavia le parole, oltre al loro intrinseco significato, hanno la capacità di evocare immagini, non posso non soffermarmi sul "quaderno" e sul "dipinta"; e immaginarmi Sonia in fabbrica, negli scampoli di luce dei pochi momenti d'aria,  china a disegnare i suoi sogni per animarli e dargli vita.

"Ma, nonna, vivere o sopravvivere"? Non ha mai risposto.


Io la risposta la cerco qualche verso più in basso.

"Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l'arco de lo essilio pria saetta."

Lascerai tutto ciò che ami maggiormente, e questo è il dolore che per prima cosa ti infliggerà l'esilio. L'esilio di Sonia è puramente spirituale. Si sposta ogni giorno da un paese dal quale vorrebbe fuggire, e ogni sera, stanca, dopo una giornata di duro lavoro, puntualmente e inevitabilmente ritorna. Donna e forestiera, in un ambiente di soli uomini, tutta manovalanza locale.


"Tu proverai sì come sa di sale
 lo pane altrui, e come è duro calle
 lo scendere e 'l salir per l'altrui scale."

Tu proverai quanto è amaro il pane degli altri, e quanto è faticoso salire e scendere le scale delle abitazioni altrui. Proverai com'è lavorare per gli altri. Già, il pane. Una fetta la mattina prima di mettersi un'ora in auto per recarsi al lavoro. E una fetta la sera tardi.


E quel che più ti graverà le spalle, 
sarà la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle;

che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr'a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.

Non si può certo dire che la compagnia di quegli anni fosse selezionata, ma era tutta gente onesta, sana, temprata dalla vita dura e, tra le donne nude in calendario e qualche colorita bestemmia, si poteva parlare, ridere, scherzare insieme. La cosa che più mi ha colpito di questo libro, che racconta molto dell'etica e dell'onesta intellettuale di Sonia, è racchiusa in una semplice frase:

"Per me la crisi c'è sempre stata".

Ciclicamente l'uomo attraversa fasi di povertà, indigenza, ristrettezza economica; ma quello che spaventa, di oggi, è la crisi squisitamente interiore, dell'impoverimento dei valori, che ci spinge sul baratro di un imbrutimento spirituale, che genera cattiveria, odio, violenza; che scarica la colpa dei propri insuccessi sugli altri. E' sempre colpa di qualcun altro se le cose non vanno. Sono loro che ci rubano il futuro.


E invece no, oggi, come ieri, il futuro devi costruirtelo con le tue mani. Solo che non sai più usarle, le tue mani, ti sei illuso di avere tutte le risposte a portata di mano, da non saper più cosa e dove cercare, intorno, ma soprattutto, dentro di te. Questa incapacità di relazionarsi, con noi stessi e con l'ambiente circostante, ci fa sentire perennemente in crisi, anche quando, in verità, materialmente parlando, delle cose essenziali, non ci manca niente.


Manca, invece, quell'empatia che nasce dall'istinto, che oggi fatichiamo a trovare nei rapporti con i nostri simili; la troviamo, invece, nelle relazioni disinteressate con il regno animale. Come quel cane, che un giorno irrompe in fabbrica, e siederà ai piedi di Sonia. Sarà lui a mostrargli il confine tra il vivere e il sopravvivere, che la nonna non ha saputo spiegargli.

"La sua coda si mosse lenta.
La sua coda era la sua voce.
Iniziai a capire il silenzio."

Gli parlavo.
Ci parlavamo.

Lui con la coda, io con le parole.
Ci fondevamo.
Leghe diverse.
Fuse.
Come il ferro."

"Qual'è l'Atlante dei tuoi occhi? Fin dove arriva il tuo sguardo?
Iridi luminescenti nella notte i tuoi occhi che vedono l'Oltre.
Raccontami la tua storia. Una storia a cui io possa credere. Una storia dove io possa mettere le ali. Ali che viaggino da sole, magari controvento."

Empatia, voglia di parlarsi, ascoltarsi, raccontarsi, viaggiare insieme. Guardare nella stessa direzione. Questo è.

Credevamo di essere liberi, ci risvegliamo prigionieri di modelli di vita e stereotipi, che qualcun altro detta per noi. Per secoli ci siamo evoluti, poi ci siamo illusi, sentiti arrivati. Abbandonate le buone pratiche, il gusto della ricerca e il piacere della conquista, la saggezza della parsimonia, il sudore della fatica, cosa è rimasto? Il massimo risultato con il minimo sforzo, quel che conviene, in barba a ciò che conta. Due decenni, e siamo fortemente involuti. Dobbiamo rimboccarci le maniche, tutti, ragazzi e adulti. Senza rigore e perseveranza non sboccia alcun sogno. Astio e rancore avvelenano il futuro. 

Cantava De André, in Amico Fragile:

"Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane
il mio è un po' di tempo che si chiama Libero,
potevo assumere un cannibale al giorno 
per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle,
potevo attraversare litri e litri di corallo
per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci"


Così fece Sonia, salì in auto con il cane, salutò la fabbrica e se ne andò per sempre.


"La prima cosa fu l'odore del ferro" è un libro che vola alto, sebbene nasca dalla polvere, impastando ferro, sudore e cemento. Affiora dal sudicio e brilla d'incanto, che lo sporco si può lavare, ma che tu faccia il carpentiere, l'impiegato o l'illustratore, nella vita, per andare avanti, ci vuole tanta passione. Devi forgiare il tuo mondo interiore, nei sogni e nell'amore. Un albo in cui la disciplina della donna stringe il rigore dell'artista in un abbraccio onirico, come farebbe l'estate con l'inverno, creando quelle meravigliose stagioni di mezzo, che sono la primavera e l'autunno.

Anche nel leggere la Commedia in classe, però, ci vuol passione. La "Buona scuola" non è nelle riforme o nei dettami didattici, è nella poesia e nell'entusiasmo che alberga dentro di noi, nella voglia di trasmettere e condividere.

E io vi lascio con questi versi che sembrano scritti apposta per spingere lontano il libro di Sonia;

"Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più percuote
e ciò non fa d'onor poco argomento."

Queste tue parole, Sonia, saranno come il vento, che sferza con maggior forza le cime più alte, e ciò costituirà, per te, motivo di grande onore. Per me è una certezza, che possa esserti di buon auspicio.

"Hai inseguito di certo un Aliseo che ti ha segnato il sentiero fin qui.
Mi guardi e rincorri una nuvola che ad ogni passo si sposta più in là.
Abbai ed io per la prima volta sento la tua voce.
La nuvola si trasforma in un gioco senza fine, tra figure di draghi e mari lontani. Sei arrivato inseguendo una nuvola? Una nuvola grande con la forma di una balena? O la forma di un prato bianco? Un mondo senza strada. Imprendibile.
Oppure hai inseguito la tua ombra?
Ti avvicini, mi allunghi una zampa e io ti stringo forte. Il pelo caldo, il respiro calmo. Come il mio, adesso. 
Poi ti allunghi e ti ritiri come le maree. Mi giri intorno. Annusi l'aria. Alzi gli occhi verso il nulla. Due occhi grandi, profondi come la verità.
Adesso i miei occhi e i tuoi s'incontrano.

Il mio limite e il tuo universo. Trasformavo il guardare. Imparavo a vedere."

"La prima cosa fu l'odore del ferro" - Sonia Maria Luce Possentini - Rrose Sélavy - Introduzione di Maurizio Landini

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