mercoledì 8 marzo 2017

Più veloce del vento


"Quando Icaro precipitò verso il mare dopo avere tentato di volare fino al sole, aveva un solo rimpianto: quello di non poter più domare il vento. L’essere sfuggito al Minotauro non gli importava. L’essere arrivato più in alto di qualsiasi uomo non contava. L’unica cosa che desiderava era volare di nuovo a quell’altezza impossibile, irraggiungibile, solo sua".

Se questo libro si fosse limitato ad un semplice tributo alla vita e alle imprese di una grande “Donna”, probabilmente non staremmo a parlarne con tanto trasporto; perché le commemorazioni sono si sacrosante, spesso doverose, ma la “letteratura” è un’altra cosa. “Più veloce del vento” di Tommaso Percivale, edito da Einaudi, è invece un grande “romanzo”, che noi di Storie a Colori abbiamo inserito nella terzina dei candidati al Premio Orbil 2016, indetto dall'ALIR, per la sezione narrativa 10-14. Perché l’autore, partendo da una scrupolosa ricerca sulle poche notizie storiche a disposizione, ha imbastito intorno alla figura di Alfonsina Morini, coniugata Strada, la prima donna ciclista a partecipare al “Giro d’Italia”, la propria epica narrativa. Tre epopee si incrociano in questo libro. Quello dell’Italia contadina di inizio secolo scorso, e di fatto sopravvissuta fino al secondo dopoguerra, di una vita aspra e dura a spezzarsi la schiena sulle campagne, dove i maschi coltivavano i campi e governavano le bestie, e le ragazze stavano dietro gli animalI da cortile, ai lavori di casa, e chi era brava dava una mano all’economia domestica e arrotondava con i lavori di sartoria; una vita frugale legata ai valori semplici, familiari, eppure così carica di poesia ora che a guardarla appare lontana anni luce. A questa si lega a doppio filo l’epopea tutta femminile della protagonista, circa il diritto di scegliere cosa fare della propria vita, al pari dei maschi, assecondando le proprie passioni e inclinazioni, indipendentemente, anzi contro i dogmi, le consuetudini e imposizioni allora in voga, che vedevano (perché così volevano) la donna inadatta a intraprendere certe strade. Qui l’autore risulta particolarmente abile e dotato di singolare garbo nel descrivere le diatribe dialettiche sostenute da Alfonsina Strada con la propria madre, in un confronto agli antipodi di esigenze e visioni; nel mostrare il rispetto della protagonista nei confronti della propria famiglia, impegnandosi strenuamente negli studi, e contribuendo in modo importante all’economia domestica nelle difficili condizioni in cui essa versava, distinguendosi nella sua abilità al ricamo, sebbene la sua vocazione seguisse ben altri lidi. Salvo poi coltivare in segreto i propri sogni quando la notte calava e il mondo andava a dormire; allora di nascosto, furtivamente si recava al fienile prendendo la bicicletta facendo lunghe pedalate di notte, per tornare poco prima dell’alba, prima che la sua famiglia si destasse. Sfidando anche le cinturate del padre il giorno che se ne accorse. Ma per Alfonsina nulla era più doloroso dell’idea di rinunciare volutamente al proprio sogno, di una vita diversa, se non necessariamente migliore, almeno scelta. Perché

"Quando un desiderio non si avvera, il tempo non scorre più".

Ma questo romanzo celebra anche e soprattutto l’epopea di Percivale scrittore di razza, con una storia che viaggia su ritmi pazzeschi, tutta in piedi sui pedali; non c’è pagina che mostri un cedimento, non c’è pagina in cui l’autore non mostri uno spunto, uno scatto di fervore narrativo, che lasci il lettore di sasso, meravigliato e attonito. Magistrale la descrizione della nebbia emiliana il giorno in cui nacque ‘Fonsina; memorabile l’avvicendarsi dei registri narrativi, dal poetico al comico, con un’ilarità talvolta spiazzante ai limiti della gag; come quando Iacopo mostra ad Alfonsina come si va a salire al volo sulla bicicletta in corsa, con la “grazia di una vacca che si tuffa nel fango”; o come quanto lo stesso Iacopo, allo scatto dell’amica Alfonsina che gli lancia la sfida “rimane fermo come un camposanto". Si vede che l’autore si diverte ad immaginare le scene, ci ride sopra, e fa a sua volta divertire il lettore. In una storia dal sapore vivo, mai stereotipato. Impossibile non affezionarsi alle sorti di Alfonsina Morini, che corre “più veloce del vento”, con “i capelli pettinati con la polvere da sparo”. Alfonsina che la domenica finge di andare a messa, e di nascosto va a fare le gare in bicicletta e poi viene scoperta; e la madre la pone di fronte alla scelta tra tornare a fare la brava ragazza di famiglia o seguire le proprie inclinazioni andando a vivere altrove. Alfonsina che fa i suoi primi allenamenti ufficiali al Parco della Montagnola a Bologna; Alfonsina che gareggia al Parco del Valentino a Torino con la celebre, nonché più allenata ed esperta, Giuseppina Carignano, facendole mordere la polvere. E soffriamo con lei quando la Grande Guerra mette in crisi lei e la sua famiglia, con il marito Luigi Strada che da di matto perché gli soffiano il brevetto della macchina del caffè, cade in depressione e finisce internato al manicomio; Alfonsina dovette ricominciare tutto da capo, e ancora una volta se la cavò da sola. Il Giro di Lombardia, il Giro d’Italia del 1924, prima e unica donna a competere in gare per soli uomini. Combattendo contro l’avversario più duro rappresentato dallo scherno e la diffidenza. Ma niente può più fermare questa donna, "con i capelli a bebè", ormai giunta ad un passo dal coronare il proprio sogno.

"Quando ogni singolo respiro è dedicato a un sogno, e il sogno è quello di volare, il respiro diventa vento".

Quando finisci di leggere questo libro ti senti orfano. Una grande malinconia ti assale. Non vorresti mai arrivare alla fine. Quando il vento si alza, vorresti che non smettesse più di soffiare. 

"Più veloce del vento" - Tommaso Percivale - Einaudi Ragazzi

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